ciclo di incontri - Novembre2000
Quaderno n. 78
Leggiamo la Scrittura. Genesi e Esodo
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«Secondo queste parole ho contratto alleanza con te» (Es 34,27) L’ethos socio-politico oggi

Giannino Piana


È noto a tutti come l'alleanza, e soprattutto le parole dell'alleanza, abbiano rappresentato per molto tempo dei riferimenti costitutivi per la vita associata di Israele: il decalogo non è finalizzato alla vita privata, ma alla vita associata. E come il popolo di Israele ha avvertito l'esigenza di darsi un codice etico, cioè di individuare dei valori civili su cui costruire la propria convivenza, così anche oggi esiste la medesima necessità.

Il quadro odierno è però ben diverso, perché oggi risulta più difficile individuare dei valori comuni: stiamo vivendo infatti una crisi profonda, che attraversa non solo la politica, ma, più in generale, anche la cosiddetta «società civile» nel suo complesso. Oggi si tende a contrapporre politica e società civile, come se la prima fosse il ricettacolo di ogni male (vedi tangentopoli e dintorni) e la seconda invece un esempio di pulizia e di perfezione. A dire il vero, se la politica spesso si sviluppa in senso clientelare, è perché a monte esiste una società civile fatta di persone che accedono ai politici in termini clientelari, anche se poi spetta ai politici correggere questa rotta. In realtà, come vedremo, la crisi della società e della politica è ben più profonda di quanto abbiano fatto emergere tangentopoli o la contrapposizione tra i due poli.

Articolerò quindi la mia riflessione in due momenti: dapprima, un'indagine sulla crisi, ponendo in rilievo il fatto che non si tratta solo di una crisi istituzionale, cioè una crisi di ridefinizione delle regole, ma di una crisi di valori, di punti di riferimento condivisi; in un secondo momento, cercherò di individuare le piste per il superamento della crisi, cioè su quale ethos collettivo sia possibile rifondare la convivenza civile e rinnovare le istituzioni e la politica, in tutte le loro espressioni.

1. Che la crisi odierna tocchi profondamente il livello dell'etica è un dato di fatto che non ha quasi bisogno di essere provato. Faccio solo un esempio. Si pensi a come si sia determinato, in questi ultimi decenni, un profondo capovolgimento di prospettiva nei rapporti tra le tre aree (quella cattolica, quella laica, quella socialista) che da sempre hanno costituito il tessuto connettivo della nostra società. Nell'immediato dopoguerra queste tre aree si contrapponevano tra loro dal punto di vista ideologico; e tuttavia, a fronte di questa forte contrapposizione ideologica, vi era il riconoscimento di valori etici comuni, che ha consentito, tra l'altro, di costruire quell'imponente edificio (etico prima ancora che istituzionale) che è la carta costituzionale. Non a caso, la prima parte della Costituzione, quella in cui vengono definiti i diritti fondamentali, è nata in modo abbastanza rapido.

Oggi la situazione è opposta. Non c'è più contrapposizione ideologica, o quantomeno essa si è molto stemperata, eppure si fa sentire in modo più consistente uno sfilacciamento tra sistemi proprio sul versante etico, e parlo di sistemi laici, non certo di sistemi religiosi. Ciò accade perché, non esistendo più né un'etica comune né una cultura omogenea, si fa strada un pluralismo di sistemi valoriali, tra loro non comunicanti e incapaci di far convergere verso un comune denominatore su cui costruire la vita associata. Del resto, se ci si sposta dal terreno socio-culturale al versante più propriamente teoretico, ci si rende conto sempre più che i problemi dell'etica pubblica, della politica, dell'economia e del diritto vengono affrontati ritornando a teorie neoutilitaristiche e neocontrattualistiche, che sono la più chiara denuncia della mancata convergenza intorno a valori comuni. E allora se ciò che conta è il consenso sociale dato a norme, o a "regole" del gioco, se il criterio di giudizio è semplicemente la massimizzazione dell'utilità sociale, è perché non ci sono più valori comuni; certo, è necessario convergere su regole comuni, ma una convergenza sulle regole che prescinda dal riconoscimento di diritti che vanno al di là delle regole, cioè diritti riconosciuti da tutti, qualsiasi sia il sistema politico, denuncia proprio la profonda crisi etica della società odierna.

Fatta questa rapida descrizione della crisi, vorrei dire qualcosa circa i fattori che l'hanno prodotta, fattori sociali e culturali che non riguardano soltanto gli assetti esterni della convivenza civile, ma più profondamente la coscienza individuale (si pensi solo allo sconvolgimento della coscienza prodotto dal progresso tecnologico!). È nel contesto di queste trasformazioni che occorre collocare la crisi dei valori comuni e delle evidenze condivise. Mi limito ad accennare a quattro fenomeni.

a) Anzitutto, il fenomeno della complessità sociale. Da una società in cui vigeva la contrapposizione fra classi ben definite, ognuna con una forte tensione ideologica, con la propria prospettiva di bene collettivo, con i propri ideali che tendeva a far valere per l'intera società, si è passati ad una società complessa, caratterizzata dal moltiplicarsi delle appartenenze (e quindi dal loro stemperarsi), dal costituirsi al posto delle classi sociali delle corporazioni (la nostra società è neocorporativa). La differenza tra "classe" e "corporazione" consiste nel fatto che, mentre la classe, possedendo una sua "ideologia", cioè un suo concetto di bene collettivo da realizzare, si muove sull'onda della realizzazione di questo ideale, la corporazione è invece un aggregarsi di soggetti che tendono a difendere i propri interessi: alla logica dell'ideale da perseguire, sia pure impazzito, si contrappone la logica dell'interesse da difendere. Da una società compatta, unitaria, attraversata da conflitti ideologici laceranti, si è passati ad una serie di soggettività sociali indifferenziate che generano una profonda frantumazione del tessuto sociale, perché a guidarle non è più la logica del bene collettivo, ma quella dell'interesse personale.

Tutto ciò non può che avere conseguenze sulla concezione della politica, una politica sempre più corporativa. Il rischio di una politica corporativa è che vengano sostenuti gli interessi delle categorie forti e penalizzati gli interessi delle categorie deboli. Ma il rischio è anche la progressiva avanzata di forme di autoritarismo e di politica-spettacolo: se l'obiettivo è di essere abili nella difesa degli interessi corporativi, quello che conta è il carisma del capo. La politica dell'immagine è la conseguenza del frantumarsi della società civile in un coacervo di interessi differenziati che hanno bisogno di essere mediati politicamente. Da qui nasce la cosiddetta politica dello scambio: se ciascuno ha di mira il proprio interesse, il compito della politica è quello mediare i vari interessi.

b) Un secondo fenomeno, strettamente legato al primo, è la crisi delle ideologie. Pur essendo di per sé un fatto positivo, specialmente se si ha a che fare con ideologie totalitarie, bisogna anche riconoscere che la critica serrata alle ideologie ha fatto spazio ad una politica del tutto aprogettuale (assenza di ideologia significa assenza di progetto). Se è vero che l'ideologia contiene in sé il rischio di diventare Weltanshauung, cioè interpretazione globale della realtà, è anche vero che la negazione di ogni ideologia rischia di condurre ad un'ideologia altrettanto totalizzante, cioè l'ideologia della non-ideologia.

Sul versante politico, allora, il rischio è di puntare tutto sull'aspetto pragmatico, rincorrendo le emergenze o muovendosi nella direzione della soddisfazione dei bisogni delle corporazioni forti e quindi non assolvendo alla funzione fondamentale della politica, che è quella di difendere i diritti di tutti.

c) La crisi delle ideologie ha prodotto una sorta di cultura della soggettività selvaggia, una cultura in cui è centrale il soggetto e i suoi bisogni. Anche in questo caso, se si tratta certamente di un fenomeno positivo, specialmente al cospetto di ideologie massificanti, il rischio è che la soggettività, lungi dall'aprire ai rapporti e alle relazioni, sia vissuta nella direzione di un individualismo spregiudicato, che va di pari passo con le tendenze neocorporative di cui parlavo e che accentua ancor più la frantumazione del tessuto sociale.

In questo contesto, la politica tende a diventare sempre più plebiscitaria: i singoli individui si identificano nel capo carismatico visto come l'immagine di ciò che essi vorrebbero essere in termini di riuscita economica, di prestigio sociale e di potere.

d) I fenomeni sinora descritti (la complessità sociale, la crisi delle ideologie, la soggettivizzazione esasperata) si svolgono all'interno di una realtà sempre più secolarizzata. Si noti che, mentre negli anni Sessanta la secolarizzazione era vista soprattutto come crisi del sacro, come recupero di autonomia da parte dell'essere umano nel mondo ("l'uomo adulto" di Bonhoeffer), come riscoperta del valore autentico della fede deputata a rispondere agli interrogativi ultimi dell'esistenza, oggi la secolarizzazione è vista non tanto come crisi del sacro, ma come crisi del senso, del fondamento, delle radici. Il problema della secolarizzazione non si pone più come crisi dell'orizzonte religioso, ma come crisi dell'orizzonte dentro cui è possibile elaborare un'etica collettiva, perché l'etica o è risposta a domande di senso e di fondamento comune oppure è semplicemente ricerca di regole del gioco attorno a cui convergere per ragioni utilitaristiche. La radice della crisi etica della società odierna sta proprio nell'assenza di valori riconosciuti come risposta a domande di senso. Oggi infatti si parla molto di regole, ma poco di etica.

2. Descritta sommariamente la crisi, veniamo ora al che fare. Indico tre prospettive di riflessione.

a)Una prima esigenza consiste nel recupero di un'istanza etica. A questo proposito, vorrei ricordare una frase di Th. Adorno, tratta da un suo libro intitolato Minima moralia: «o la politica torna a fondarsi su un principio di redenzione sul mondo oppure diventa una pura tecnica di conservazione o di rafforzamento del potere da parte di chi già lo detiene». Il principio di redenzione sul mondo di cui parla Adorno significa la necessità di un recupero di una forte istanza etica, altrimenti la politica diventa puro esercizio di potere, pura tecnica, pura ingegneria istituzionale. Cos'è l'evento dell'esodo se un principio di liberazione sul mondo?

Come è possibile passare da questa istanza all'elaborazione di valori comuni? In passato, il percorso appariva più agevole; non a caso il fondatore di un'etica laica fondata sulla ragione è stato Kant, il quale pensava che la ragione godesse di una validità universale per cui i valori potevano essere dedotti e quindi immediatamente riconosciuti da tutti. Oggi, invece, siamo passati dalla ragione alle ragioni, le quali danno luogo a sistemi etici profondamente differenziati tra di loro; ne consegue che la via per il recupero di questi valori non può più essere deduttiva, come in Kant, ma induttiva; dev'essere quella che Habermans chiama la via dell'etica della comunicazione, nella consapevolezza che nella comunicazione tra diversi sistemi etici è possibile arrivare a qualcosa di comune. Solo il confronto fra le ragioni, se avviene in modo autentico, può condurre ad un minimo o -perché no?- ad un massimo di ragione.

Riconoscere i valori, però, non significa semplicemente riconoscersi in alcuni valori astrattamente considerati (su valori come giustizia, libertà, solidarietà siamo tutti d'accordo); si tratta piuttosto di dare a questi valori dei contenuti omogenei e, più ancora, di collocare questi valori in una scala gerarchica ordinata in modo tale da risolvere i potenziali conflitti (si pensi al classico conflitto tra libertà e giustizia). Non basta sostenere il diritto alla libertà, ma bisogna creare le condizioni per cui tutti possano godere di questo diritto. Mentre, per esempio, i diritti di libertà vissuti nell'ottica individualistica tipica del liberalismo valevano solo per coloro che erano in grado di farli valere, la Costituzione afferma all'inizio che la Repubblica è fondata sul lavoro, il che equivale a dire che non è fondata sul censo.

b)La seconda prospettiva per recuperare un ethos socio-politico è di riprendere seriamente in considerazione la questione della progettualità dell'agire sociale e politico. Io sostengo la necessità di un recupero dell'ideologia, intesa non tanto come sistema totalizzante e autoritario, ma come un progetto per la prassi, un progetto che presuppone una chiara visione. Si tratta insomma di operare una rivisitazione dell'ideologia, cioè una restituzione alla società e alla politica di un progetto.

All'interno del recupero dell'ideologia, ci sono però alcuni nodi da sciogliere. Il primo è la mediazione tra il personale e il sociale: bisogna certo porre attenzione agli interessi individuali, ma bisogna anche operare una mediazione tra interesse personale e interessi collettivi. Se è vero, come dicevano per esempio le femministe, che il personale è sociale, è anche vero che il sociale deve personalizzarsi, deve cioè tenere conto di alcuni bisogni soggettivi (si pensi ai tempi della città, ai tempi della vita, ai tempi del lavoro). La politica pertanto non deve essere concepita in senso puramente istituzionale, ma al servizio di bisogni soggettivi. Come dice Paul Ricoeur, il personalismo deve recuperare, accanto alla relazione intersoggettiva dell'io-tu, anche la dimensione del tu anonimo, quel tu con il quale magari non si entrerà mai in contatto direttamente, ma di cui si deve essere responsabili creando per lui delle strutture giuste.

Il secondo nodo è quello del rapporto tra principio di suussidiarietà e principio di solidarietà; qui siamo nel cuore del magistero sociale della chiesa cattolica, la quale, sia pure con oscillazioni tra principio di suussidiarietà per tutelare dalle tendenze prevaricatrici dello stato (gli enti intermedi) e principio di solidarietà (Populorum Progressio) perché le istanze di bene collettivo sembravano diventare prevalenti, ha indicato una via che oggi viene rivalutata. In sostanza, si tratta di recuperare un equilibrio tra primato della società civile e la non residualità dello stato, cioè integrazione tra società civile e società politica, con il riconoscimento reciproco della necessità l'una dell'altra.

C'è poi la necessità del recupero di una concezione allargata della politica, la quale non può essere ridotta all'impegno dei partiti e delle istituzioni tradizionali, perché la politica ha una sua trasversalità che deve essere rimessa in circolazione nei rapporti tra politica in senso stretto, società e forme di presenza individuale o associata (volontariato): ognuna di queste sfere va rispettata nella sua autonomia, ma occorre recuperare dei valori dialettici positivi che concorrano al raggiungimento di un bene collettivo, che sia il frutto dell'interazione di queste diverse istanze della vita associata.

c) La terza prospettiva è quella delle regole. Se da un lato non si deve pensare, come fanno le etiche utilitaristiche, di risolvere la crisi etica ricorrendo solo alle regole, dall'altro non deve neppure sfuggire l'importanza delle regole. La politica non è fatta solo di fini, ma anche di mezzi, non solo di grandi obiettivi, ma anche di strumenti per il loro perseguimento, altrimenti gli obiettivi rimangono astratti. Ciò implica alcuni ripensamenti.

-      La ridefinizione del ruolo dei partiti: da centri di potere devono diventare interpreti dei bisogni delle fette di società che rappresentano.

-      La ridefinizione dei rapporti tra partiti e istituzioni: c'è il rischio che i rappresentanti delle istituzioni concepiscano i partiti come una palla al piede, anziché come strumenti di controllo democratico.

-      La ridefinizione del rapporto tra partecipazione, consenso, rappresentanza e decisionalità: colui che governa non può essere anche il controllore del proprio governo (un deputato che diventa ministro, per esempio, è al tempo stesso controllato e controllore). Si tratta insomma di individuare delle regole che siano funzionali ad un corretto funzionamento dei rapporti tra le istituzioni e che al tempo stesso garantiscano gli equilibri tra consenso, rappresentanza e governabilità.

-      La ridefinizione del rapporto tra politici e tecnici: la tecnicizzazione sempre maggiore dei problemi e l'assegnazione ai tecnici di competenze che prima non avevano (si pensi alla legge Bassasini) hanno certamente risolto molte cose, ma hanno messo in discussione il controllo dei politici sui tecnici. Anche qui si tratta di trovare un equilibrio.

In conclusione, possiamo dire che il discorso sulle regole è sicuramente importante, perché, come abbiamo visto, la complessità delle situazioni sociali in cui siamo immersi esige regole sempre più sofisticate, sempre più capaci di creare equilibri tra i poteri, di individuare dove e come ci si muove sul terreno sia amministrativo sia politico; e tuttavia esso va collocato non solo nella complessità sociale, bensì nella riflessione sul progetto e, prima ancora, sull'istanza etica fondamentale e sui valori comuni. Solo a queste condizioni -io credo- sarà possibile restituire alla società di oggi e alla politica un ethos che sia capace di interpretare i bisogni di ciascuno e di tutti e di proporre una società più giusta e più umanizzata, in grado di offrire ad ogni essere umano prospettive di crescita e di autentica liberazione.

Conversazione tenuta presso la Fondazione Serughetti La Porta il 20 novembre 2000

Testo non rivisto dall’Autore

 

 

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